venerdì 7 aprile 2017

WINGFIELD REUTER STAVI SIRKIS, The Stone House (2016)


Un’istantanea, una fotografia che testimonia un momento del tutto eccezionale e che sa essere profonda e viscerale, capace di cogliere un’esperienza concettuale libera. Le note si susseguono in una jam arcana e dai contorni poco definiti e non potrebbe essere altrimenti se nella stessa stanza si trovano due eccentrici chitarristi come Mark Wingfield (Jane Chapman) e Markus Reuter (Stick Men, The Crimson Project, Centrozoon) accompagnati da Yaron Stavi al basso (Robert Wyatt, David Gilmour) e Asaf Sirkis alla batteria (Tim Garland, Nicolas Meier). The Stone House è il frutto di questo incontro, un live in studio senza overdubs, completamente improvvisato e per questo di non facile assimilazione, un rischio che i quattro affrontano con consapevolezza e disciplina. I due chitarristi creano un interplay che travalica i limiti dello strumento, un processo dove riescono a trovare spazi individuali in cui emergono stili paralleli, un idiosincrasia ingegnosa e intraprendente contro l’uso comune della sei corde. Le ritmiche proposte da Sirkis e Stavi (una coppia che abbiamo già conosciuto in Proof of light proprio di Wingfield) sanno essere sia essenziali che pirotecniche, una ricerca del groove costante che sottolinea i fraseggi cervellotici dei due chitarristi in modo praticamente perfetto. L’album racchiude molti elementi tipici del progressive, soprattutto quello legato ai King Crimson, ai Soft Machine e all’ala radicale del genere, complice anche l’aspetto sperimentale e spontaneo del quartetto, che esplora soluzioni e possibilità dell’interazione improvvisata tra menti illuminate. Il risultato non può essere sempre fluido ma ci sono alcuni momenti incredibilmente riusciti, dinamici e armonici, emozionali e potenti (lo scoppiettante inizio di Rush e l’ottima Silver), all’interno di un percorso crossover dove le convenzioni si smarriscono e i suoni si fanno provocazione. L’approccio free della band consente di cogliere pulsioni che esulano da schemi, una costruzione al limite dell’astrattismo, sospesa tra allucinazioni psichedeliche, riff di matrice hard e fusion borderline, un flusso in cui abbandonarsi senza porsi troppe domande. Tutto ciò porta The Stone House a non appiattirsi su un solo genere, proprio perché suonato in presa diretta, cogliendo spunti che sono di passaggio, fluttuanti e catturati in un secondo, quando basta uno sguardo per capire in che direzione andare. E allora ci si ritrova ostaggi del free jazz, dell’ambient, della psichedelia acida e del rock progressivo, un mantra lontano dall’essere definito o categorizzato. Il disco è da ritenersi quindi un’avventura, figlio di intuizioni e non di scrittura, un qualcosa senza confini, che può essere apprezzato solo se ci si pone sulla stessa lunghezza d’onda dell’ensemble. (Luigi Cattaneo)
 
Rush (Video)
 

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