sabato 31 maggio 2014

PROTEO, Republikflucht! ... Facing East (2013)


Avevamo lasciato i Proteo nel 2009 freschi di stampa di Under a Red Polar Light, album con il quale vinsero il premio miglior debutto al Mei Prog contest di Faenza. Dopo aver presentato l’esordio su palchi importanti e aver diviso la scena con gruppi di rilievo come Gazpacho, Alex Carpani e Le Orme, i Proteo erano tornati nella natia Trieste e di loro si erano un po’ perse le tracce. Fa piacere ritrovarli con un nuovo lavoro, Republikflucht! … Facing East pubblicato nel 2013 sempre per Ma.ra.cash Records e constatare come questi quattro anni non siano passati invano. C’è stata un’evoluzione stilistica che, pur non modificando il dna della band, li ha portati ad accentuare le strutture new prog già presenti in passato. Le composizioni risultano però più articolate, in alcuni casi il rischio prolissità è dietro l’angolo ma in generale l’album è piacevole e pieno di pregevoli spunti. I triestini anche a livello testuale pare abbiano deposto una certa cura, perché soffermarsi su episodi come la caduta del muro di Berlino e la Guerra fredda non è proprio impresa di tutti i giorni. La struttura concept diviene allora basilare per incanalare i pezzi nel contesto narrato e il risultato è ben definito e maturo. Il gruppo oramai è solido (anche perché attivo dal 1996) e la strada intrapresa sembra proprio quella che può riservare maggiori soddisfazioni. Difatti di pop rock i Proteo non hanno più nulla (se si fa eccezione per Funny girls playing double dutch, l’unica al di sotto dei dieci minuti) e Republikflucht! … Facing East rientra in pieno nel calderone new progressive di act come Pendragon, Marillion o Rush (in special modo nelle parti più dure). Ne sono esempio brani pieni di feeling come l’iniziale Echoes Mankind (part II), la successiva e intrigante Berlin e la conclusiva Republikflucht, finale epico di un disco davvero di buon livello. Pur nei ritagli più complessi i Proteo non dimenticano di includere linee melodiche di impatto, proposte con perizia esecutiva non solo dal bravo Matteo Copetti, chitarrista dotato di sensibilità e gusto ma anche da Alessandro Surian al basso e Fabio Gorza alla batteria, una sezione ritmica precisa e coesa e capace di assecondare ulteriormente la prova vocale di Marco Paulica, cantante e chitarrista parecchio espressivo e sempre a suo agio tra le fitte trame del concept. I Proteo hanno indubbie capacità compositive, affinate in questi anni di live e studio e questo come back sta lì a dimostrarlo e li pone vicino alle tante giovani ed entusiaste realtà che stanno proliferando ultimamente nell’underground progressivo italiano. (Luigi Cattaneo)

Video Promo Album


 

giovedì 29 maggio 2014

KERYGMATIC PROJECT, By Sheer Chance (2013)


Giungono al terzo album i Kerygmatic Project dopo Nothing But Truth del 2011 e Greek Stars Gallery del 2012. La componente descrittiva della musica del trio (Marco Campagnolo alle tastiere, Danilo Nobili alla batteria e Samuele Tadini al basso e alla voce) è intatta, anche se in parte pare mutate l’approccio alla fase di scrittura. Difatti questo come back sembra meno orchestrale rispetto ai dischi precedenti e Campagnolo ha foderato le trame di synth, spesso in bella evidenza e ha utilizzato un numero più alto di campionamenti. Il risultato però non è freddo, anche perché il gruppo non tralascia l’utilizzo di strumenti tipici come l’hammond. La proposta è coesa, i tre appaiono uniti nelle intenzioni, frutto probabilmente di un lavoro che va avanti dal 1998. I Kerygmatic citano le loro grandi passioni, gli UK, il tocco aor degli Asia, il prog britannico sia dei ’70 che del decennio successivo (Genesis, Emerson Lake & Palmer, Yes), in uno stile ben radicato nel tempo. C’è anche dell’ammaliante pop, molto melodico e di facile presa (I’m Falling in Love with you) ma anche aspetti tecnici di rilievo piuttosto usuali del progressive come i tempi dispari o le soluzioni articolate (Living with no Regrets). Questa altalena tra momenti ampiamente orecchiabili, memori anche del periodo Genesis con Phil Collins alla voce e altri più propriamente prog, prosegue per buona parte dell’album. Così se Driving ha un chorus memorabile e radiofonico, la title track ha la forma di piccola suite divisa in due parti, The Sound collector è strumentale e di grande impatto e In this cold Winter è una traccia estremamente sognante. By Sheer chance è un racconto piacevole che potrà sicuramente interessare tutti i fan del progressive rock inglese ma anche chi non lo è per definizione sono sicuro potrebbe provare piacere nell’ascoltare le tante parti davvero molto melodiche presenti. Pop progressivo? Quasi quasi… (Luigi Cattaneo)

In This cold Winter (Video)


  

lunedì 26 maggio 2014

JOHANN SEBASTIAN PUNK, More Lovely and More Temperate (2014)


L’unione tra 2 mondi agli antipodi, quello dell’illustre Johann Sebastian Bach e quello scalcinato del punk. Uno fiero della complessità delle sue opere, l’altro a suo agio tra furia e scarnificazione assoluta della musica. Ci prova ad integrarli a suo modo Johann Sebastian Punk, un saltimbanco alfiere di eclettismo e provocazione. JSP è un progetto dietro al quale si cela Massimiliano Raffa, autore che si dimena tra voce, chitarra, flauto, violino piano e synth (tra cui il sempre affascinante mellotron), coadiuvato da Lorenzo Boccedi (batteria), Simone Aiello (basso) e Giandomenico Zeppa (piano, synth e clavicembalo), oltre che dalla produzione esecutiva di Beatrice Antolini e Daniele Calandra. More lovely and more temperate è l’esordio che cita Shakespeare e una serie di sonorità che mescolate danno vita ad una ricetta decisamente poco usuale. L’intro Exit funge da apripista per Vernal Equinox, traccia divisa in due, con la prima parte molto rilassata e una seconda decisamente più elettronica e ballabile, un pezzo che si contraddistingue anche per la bella prova solistica di Amedeo Russo al sax. Jesus Crust Baked ha un mood teatrale piuttosto accentuato, ora più drammatico ora più sinuoso ma sempre ben suonato e con un arrangiamento davvero molto interessante. Yes, I Miss the Ramones è l’unico brano punk rock tra i presenti ed è quello che mi ha convinto meno, molto meglio Barber’s Shops, uno dei momenti meglio riusciti tra i presenti. L’intensità si manifesta al meglio, l’atmosfera si tinge di anni ’70, con una coda progressive che si esprime attraverso cambi di tempo e voli tastieristici che mostrano anche la bravura del gruppo nel creare situazioni di volta in volta diverse. Un crossover di generi che prosegue con Intermezzo e The Well-Shorn Moufflon Paradox che tinge l’album di suadenti visioni psichedeliche davvero da brivido, che si scontrano con frammenti prog, free e pop! White è invece più vicino alla dark wave, ha una bella spinta elettronica e la presenza di Tony Faith al basso, che presta le quattro corde anche nella successiva Rainy Spell, quasi un omaggio al pop inglese dei mai troppo celebrati Suede. In territorio wave si trova Strontium, dominata da fasi elettroniche e riff di chitarra secchi e decisi, mentre il finale di Enter è la chiusura magniloquente che ci si può attendere da tanta varietà, con un chorus di facile assimilazione e l’abbellimento dato dall’utilizzo di violoncello e clarinetto suonato da Calandra (ex Addamanera, band autrice di un interessante rock psichedelico). More lovely and more temperate è un debut curioso e pieno di idee, a volte meno focalizzate di quanto dovrebbero, ma il risultato è a tratti sorprendente e consigliato a chi ha la voglia di imbattersi in situazioni solo in apparente contrasto tra loro. Un disco libero, senza schemi prefissati e che mostra un compositore dalla forte personalità. (Luigi Cattaneo)




             

sabato 24 maggio 2014

REALE ACCADEMIA DI MUSICA, La Cometa lunga 40 anni

La storia della Reale Accademia di Musica parte da lontano. Dalla fine degli anni ’60, più precisamente dal 1968, quando cinque ragazzi di Roma (Henryk Topel Cabanes alla voce, Pericle Sponzilli alla chitarra, Federico Troiani alle tastiere, Piero Pavone al basso e Ruggero Stefani alla batteria) danno vita ai Fholks. Non una cosa da poco se si pensa che di lì a breve avranno la fortuna e il merito di aprire i live italiani di Jimi Hendrix, partecipare a diversi festival del periodo (tra cui Gualdo pop e lo storico Caracalla) ed essere notati da Maurizio Vandelli che gli produce un 45 giri (Mi scorri nelle vene, traduzione di Soldier in our Town degli Iron Butterfly) e il primo lavoro. L’uscita di Stefani determina l’inserimento in organico di Roberto Senzasono e il cambio di monicker in un più consono ed evocativo Reale Accademia di Musica. La formazione perde però strada facendo anche Sponzilli che viene sostituito dal chitarrista delle Esperienze Nicola Agrimi. L’omonimo del 1972, uscito per la Ricordi, ricalca modelli inglesi e resta sempre in equilibrio tra momenti più tirati e quasi hard come l’elettrica Vertigine (forse l’apice di questo debut) e altri prevalentemente acustici ma ugualmente intensi come Favola e Il Mattino, episodi sempre aggraziati e in possesso di una discreta dose di malinconia che ci catapultano nel mondo sognante della RADM. Se Nessuno sa è una composizione molto leggera ma comunque gradevole, molto più dura e tenebrosa è Padre, altra traccia di grande fascino e con un testo sul conflitto generazionale piuttosto sentito. Buono il compito svolto da tutto il gruppo su Lavoro in città, che conferma come la Reale non abbia apportato novità stilistiche particolari ad un sound vicino a quello albionico e memore anche dei cambiamenti in atto in Italia. I rimandi a gruppi storici dell’epoca ci sono tutti, dai Moody Blues ai Procol Harum per passare all’hard blues dei Deep Purple ma il risultato, anche se non brilla per originalità, è assolutamente piacevole e si può ritenere questo esordio un piccolo classico (magari minore) che ha avuto la giusta collocazione solo a distanza di parecchi decenni. Tutto il disco appare suggestivo e leggiadro, con Troiani che spicca più degli altri e la voce di Topel, che pur non particolarmente ficcante, è in linea con il sobrio percorso e il mood emotivo che traspare lungo il platter. A posteriori potremmo dire che la supervisione di Vandelli forse alleggerì (per non dire appiattì) il sound della RADM, che in alcuni momenti avrebbe beneficiato di un maggior dinamismo.
 

Un lavoro di riscoperta che ha coinvolto anche il secondo disco del 1974, venuto fuori dall’incontro con Adriano Monteduro, cantautore con cui collaborarono per un breve periodo. In quel frangente la Reale inserisce in organico Dino Cappa al basso e Gianfranco Coletta (ex Banco del Mutuo Soccorso e Chetro & Co.) alla chitarra, che si uniscono ai rimasti Topel, Senzasono e Troiani. Questa line up operò insieme a Monteduro, anche lui piuttosto giovane e alle prime esperienze discografiche (aveva pubblicato il 7 pollici Non è felicità/Tempo di andare) in un disco che era la somma delle due parti. RADM/Adriano Monteduro ha molto dell’unplugged, anche se qua e là spunta fuori qualche vagito elettrico, ma si tratta chiaramente di un disco cantautorale che ha però il mordente che poteva confluire dall’utilizzo di un gruppo rock già discretamente affiatato. Anche qui non possiamo parlare di sperimentazione, sussulti avanguardistici o novità stilistiche, quanto più di un lavoro sincero e raffinato, con una bella cura per arrangiamenti che colorano e nobilitano pezzi freschi e immediati in cui emergono sia doti compositive che tecniche (un episodio su tutti può essere La Favola del Guardiano del bosco). È una piccola perla rivalutata con lo scorrere del tempo, una bella fusione tra rock e mondo cantautorale a cui si poteva assistere in quegli anni (oltre al famoso incontro tra Fabrizio De Andrè e la P.F.M. possiamo ricordare tra gli altri anche quello tra Francesco Guccini e i Nomadi). Un incontro equilibrato tra sottili melodie, folk e rock, che ritroviamo in pezzi davvero ottimi come Viaggio Libero o Le Montagne nel Tramonto.



Nel 1975 la RADM suona nell’album di Nada 1930: il domatore delle scimmie e Topel risulta essere uno dei maggiori compositori di tutta l’opera.


Monteduro ha pubblicato diversi dischi utilizzando il nome della Reale, tra cui è bene citare Il linguaggio delle cose del 2008 e Tempo senza tempo del 2009, in cui però non figura realmente il gruppo romano!

                                                             

Arriviamo ai giorni nostri con la pubblicazione di La Cometa, un album che Topel aveva pensato e scritto nel 1974 (e registrato nel dicembre dello stesso anno ai Sonic Studio di Roma) che non vide mai la luce, un lavoro rimasto avvolto nel mistero per quasi 40 anni. Il suono è quello di inizio anni ’70, già a partire dall’iniziale title track, venata dal piano jazz di Troiani e aperture prog di buona fattura. Oltre a Topel gli amici di sempre che si alternano nei 30 minuti circa di questo breve ritrovamento di un gruppo che di lì a poco si sarebbe dissolto nel nulla. La seguente Nenae è una delicata ballata che ricorda lo stile di Monteduro (presente comunque nel disco) e si avvale della slide di Coletta, mentre tutta un’altra musica è Quando Morirò, divertente e appassionante danza che ironizza sulla morte, una traccia davvero trascinante, complice anche il lavoro di Tony Marcus al violino. Gradevole folk rock in Aereoporto, percussioni e piano invece imbastiscono la strumentale Macumba Hotel, che si accende nella seconda parte con l’entrata della chitarra elettrica che si muove agile tra le ritmiche del gruppo. Oratorio sembra uscire da una messa beat ed è il primo episodio che ho trovato di una leggerezza eccessiva, così come non mi ha molto convinto Una canzone, che presenta un buon interplay tra piano e violino ma risulta alla lunga piuttosto scontata. Chiudono l’album il jazz di New Orleans di Uomo Rosa e Topolino Topel, un breve strumentale che non aggiunge molto a quanto sinora sentito. La cometa è un album buono per metà, la prima, dove Topel ha riversato le maggiori energie e scritto brani che non sfigurano accanto a quelli da tutti noi amati della RADM, mentre la seconda appare fin troppo prevedibile e l’intensità che ha sempre contraddistinto la proposta del gruppo scende davvero troppo. Un’occasione persa? No, solo la consapevolezza che non ci troviamo dinnanzi ad una nuova gemma del prog italiano quanto più di fronte ad un come back piacevole che avrebbe potuto dare di più se si fosse evitata qualche caduta di tono troppo palese. Ma in tempi di reunion mai dire mai e dopo questa pubblicazione ci aspettiamo di ritrovare la Reale a lavorare magari su un album di inediti per i tanti fan che ancora sognano sulle atmosfere bucoliche che erano capaci di emanare. (Luigi Cattaneo)