giovedì 24 novembre 2016

HAUTVILLE, Mater Dolorosa (2016)


Dopo tre anni da Le Moire ritornano gli Hautville con Mater Dolorosa, otto brani intrisi di folk progressivo con tanti inserti classicheggianti (un po’ come i campani Corde Oblique) che denotano una profonda conoscenza della materia. La cura per il dettaglio, per gli arrangiamenti raffinati e per testi ricercati fanno la differenza e oltre alla bontà esecutiva del trio (Simona Bonavita alla voce, Francesco Dinnella al basso e alle tastiere e Leonardo Lonigro alla chitarra folk ed elettrica) vanno menzionati i tanti special guest presenti, che risultano essenziali per la riuscita del lavoro (Giulio Amico Padula alla tromba, David Bisetti alle percussioni e ai timpani, Daniela Caschetto al violoncello, Rebecca Dallolio al violino, l’ex Pierrot Lunaire Arturo Stalteri al piano e William Matteuzzi alla voce). La vena malinconica che attraversa il platter ammalia e dona un incanto intrigante al racconto, che si sviluppa proprio cercando di avvincere l’ascoltatore attraverso brani solo all’apparenza di facile lettura ma in realtà molto pregni di elementi. Il fascino di certe argomentazioni va di pari passo con atmosfere disincantate e malinconiche, caratteristiche che troviamo già nell’elegante opening track Dis pater, con la Dallolio a ricamare in modo sicuro sopra un substrato folkeggiante di gran spessore. La dea Artemide viene tributata nel brano successivo, una ballata dai toni epici che ben delineano la sua figura, mentre accelera ritmicamente Pietà e costanza, soprattutto grazie al percussionismo di Bisetti e al lavoro di Lonigro, più deciso che mai. Nella prima parte spicca Le ombre, un folk cantautorale delicato e tenue, con la Bonavita artefice di una prova magistrale, prima dell’intervento del tenore Matteuzzi nella title track, pezzo dove partecipa anche Stalteri, che insieme a Caschetto dona un imprinting molto classico alla composizione. La sposa torna sui sentieri abituali del trio e l’interplay tra chitarra e violino tratteggia scenari amari e inquieti, replicati dalla potenza espressiva di Per non sentire niente, convincente anche grazie alla prova di Padula. Il finale di Il castello è incentrato sul tocco di Stalteri, che chiude con un sigillo fiabesco un album poetico e affascinante. (Luigi Cattaneo)

Per non sentire niente (Video)

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